Appena terminato il mio intervento alla Camera dei Deputati (sala Mappamondo) all’interno dell’incontro del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero sul tema “Il lavoro e la mobilità”, come presidente della Commissione “Nuove migrazioni e Generazioni Nuove”. Il Ministro Poletti non è rimasto, ed è un peccato, perché il mio intervento cominciava cosí: “Parafrasando una sua frase infelice, il nostro sogno è che ci abbia sempre tra i piedi”. Non necessariamente fisicamente tra i piedi, all’estero ci si può pure restare e felicemente, ma perché disperdere un potenziale talmente vasto? Perché, poi, farci eleggere, farci riunire a Roma e riempirsi istituzionalmente la bocca di buone intenzioni, quando, già dal 2008, i 400 giovani riuniti alla Conferenza mondiale dei Giovani italiani nel mondo, nel documento finale sul tema del lavoro, scrivevano che le principali cause di partenza erano: mancanza di meritocrazia (non parafraso più di una frase infelice di Poletti per post, scusate), precarizzazione del lavoro, burocrazia inefficiente, difficoltà dell’accesso al credito. Ma possibile dire le stesse cose 10 anni dopo? Parlarne come se fossero una sorpresa? Quei 400 giovani erano gasatissimi, pronti a lanciarsi nelle nuove elezioni di Comites e CGIE (organismi degli italiani all’estero) che dovevano essere subito dopo la conferenza e che si sono tenute finalmente solo nel 2015. I governi hanno fatto bollire le vecchie istituzioni degli italiani all’estero per 10 anni a fuoco lento nella speranza di poterle dichiarare inutili, tenendo fuori dalla porta tutto quel ben di Dio su cui avevamo investito. Con la mia Commissione, tento di mettere un piede nella porta che sembra si stia per chiudere, perché si spalanchi, entri aria nuova, progetti concreti, e che la si smetta di parlare genericamente di come sarebbe fico avere delle reti di italiani all’estero, quando una legge c’è, le istituzioni ci sono. Serve, ragazzi, fare entrismo e sbattere i pugni sul tavolo. Le reti di italiani all’estero risolverebbero tutti i problemi dell’Italia? Della disoccupazione, della precarietà, della demografia e della democrazia? No, certo. Ma nei momenti di crisi bisogna attivare tutto il potenziale che c’è. Non bisogna lasciare nulla di intentato, bisogna tornare a collegare le istituzioni alla vita di tutti i giorni. Senza dimenticare quello che giustamente dice la mia collega Isabella Parisi “Si va all’estero per cercare lavoro, ma anche per creare lavoro”. E perché di questo lavoro non può trarre vantaggio l”Italia? Pensiamo di non averne bisogno?
[Ho parlato anche di digitalizzazione dell’anagrafe, riforma AIRE, assistenza sanitaria, sfruttamento delle nuove tecnologie e Unione Europea.]
Plenaria CGIE – Intervento alla Camera dei Deputati
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