Giorgio Celli ci ha lasciato ed era da un mesetto che si sapeva che stava proprio male. Tanti saranno legati a lui per le trasmissioni televisive, o per i libri, io perché lo incrociavo sempre in via Mascarella con i sacchi della spesa, o con una tracolla da conferenza. Sempre con lo stesso passo lento e tranquillo, sempre con la sua inconfondibile faccia da gattone, sempre a modo suo molto lontano e vicino.
La notizia della sua malattia mi aveva toccato in modo particolare, perché proprio in quei giorni stavo pensando a lui per via dell’atelier di scrittura sulla memoria che stiamo facendo con l’Associazione Emilia-Romagna a Parigi.
Dopo un anno a scambiarci racconti, battute, dialoghi sull’immigrazione, stavo cercando la “ultimate” immagine da lasciare all’atelier, ed è li’ che Giorgio Celli mi è tornato in mente.
Non doveva essere molto tempo fa, forse solo qualche mese, e, come al solito, andavo verso il centro per via Mascarella. Come tante volte l’ho riconosciuto da lontano, con le sue borse della spesa, con la sua cadenza serena nel passo. Solo che questa volta, quando stavamo per incontrarci, i due venditori pachistani sulla soglia del minimarket, e lui, mi hanno regalato una scenetta che mi è parsa una summa di civiltà.
I pachistani sull’uscio hanno salutato “Buonasera, Professore!” e lui ha risposto con un sorriso “Buonasera”.
Vi sembrerà una cavolata, ma io ci ho visto la naturalezza dell’incontro tra persone che condividono con semplicità uno stesso spazio vitale dando il proprio contributo al bene di tutti. Senza tutte le menate della distanza data da un’etnia diversa, da un’etichetta di “immigrato”. Li’ c’erano dei bottegai di prossimità che salutavano un cliente abituale, e illustre. E il pacifico cliente che passando davanti al negozio li salutava con bonarietà.
In giornate come oggi mi viene da pensare che, alla fine, la civiltà è data da cose banali come persone che si salutano quando si incontrano per la strada. O persone che vanno a votare ai referendum.