Atys è morto anche stasera. Ha ucciso Sangaride, e poi si è tolto la vita. Ma non l’ha fatto apposta. Una Dea innamorata e spietata gli ha confuso la mente.
E’ morto, e poi è resuscitato per prendere gli applausi, e anche un cesto di pivoines bianche, bellissime, che gettavamo a una a una dai palchetti che sovrastano la scena. E’ l’ultima recita, ed è un peccato, perché erano 24 anni che queste mura tra cui lavoro aspettavano di ritrovarlo.
E’ infatti un po’ grazie ad Atys che l’Opéra Comique non si è trasformata in un parcheggio o in un centro commerciale, ma è rimasta un teatro. Perché nel lontano 1987 il pubblico resto’ folgorato da quest’opera di Lully (1676) e questo allestimento, e la magia di quelle recite le ha costruito attorno una corazza mitologica che ha resistito nel tempo. E’ un po’ grazie ad Atys, se in questi ultimi vent’anni il genere dell’opera barocca è stato sempre di più portato agli onori delle cronache. Ed è un po’ grazie ad un miliardario americano, il signor Stanton, se abbiamo potuto rifare tutto come allora, ricostruendo le scenografie esattamente come allora, riparando i costumi e riportando l’équipe che lo creo’ a lavorare insieme.
E tutto sommato è un po’ anche grazie a questo compositore fiorentino, Giovanni Battista Lulli, prestato alla corte di Luigi XIV, se i francesi hanno un loro genere d’opera.
Per capire la follia collettiva generata da questa produzione, un accenno di rassegna stampa: il New York Times, il Financial times e Libé.